La storia della riscoperta del Muetto
Tutto è cominciato nel 2015 quando Maurizio decise di telefonare a Stefano Raimondi, ampelografo e collaboratore del CNR per chiedergli di aiutarlo a censire le varieta di vite presenti in Val Borbera.
Stefano, incuriosito, decise di aiutarlo e lavorarono al riconoscimento per più di due anni.
Grazie a Stefano, Maurizio riuscì a censire tutte le varietà presenti in valle (nei vecchi vigneti ha trovato più di venti varietà d’uva diverse) e a scovarne alcune particolarmente interessanti tra cui una, che si è rivelata essere molto tipica da queste parti, abbandonata forse perché poco colorata, o perchè banalmente, nessuno aveva mai posto l’attenzione su di lei. Il Muetto.
Foto di Federico Fallabeni
Il Muetto ci ha subito colpito per la sua capacità di accumulare zuccheri e per il fatto che matura abbastanza presto e germoglia tardi.
È un vino rosso scarico, dal colore acceso e vivido, semiaromatico, dai profumi di rosa, ciliegia, ma anche pesca, acacia e molto altro ancora.
Sembra conoscere alla perfezione il clima della nostra valle, infatti è abbastanza precoce nella maturazione, nel senso che l’uva matura dopo la prima metà di settembre, e germoglia tardi, quasi due settimane dopo gli altri vitigni.
Insomma una pianta perfetta per i nostri posti, in Appennino, dove le gelate tardive sono frequenti.
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Coltivare il Muetto era illegale.
Assurdo, è qui da una vita e non si può coltivare.
Nel 2018 al gruppo iniziale di lavoro formato da Maurizio e Martina e Stefano, si aggiungono anche Andrea Tacchella di Nebraie e Pietro Ravazzolo di Cascina Barbàn si interessano alla questione e insieme, decidono di provare ad intraprendere l’iter di registrazione.
Stefano ci spiega che si tratta di un’operazione lunga e costosa, ci vogliono più di cinquemila euro e l’iter può durare anche tre anni.
Così ci siamo confrontati con alcuni amici e conoscenti che gravitano intorno al mondo del vino, soprattutto con Tommaso di Rolling Wine e ci viene in mente l’idea di lanciare un crowdfunding che ci aiuti a reperire i soldi che ci servono per la registrazione della varietà.
Volevamo rendere questa operazione popolare, di tutti, un processo nato dalla gente, della gente e per la gente.
Dopotutto una varietà è un bene pubblico ed è sacrosanto che questa avventura sia pubblica, di tutti e per tutti.
Volevamo mo che questo vino appartenesse a tutta l’Italia, che le persone lo bevessero con noi e che fossero protagonisti di questa registrazione.
Questo vino come tutti del resto, appartiene a chi se ne prende cura, a chi se ne occupa, a chi lo beve, a chi lo coltiva e infine a chi lavora per la sua registrazione.

